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dc.contributor.advisorTinterri, Roberto-
dc.contributor.authorOgata, Kei-
dc.date.accessioned2010-06-11T10:23:48Z-
dc.date.available2010-06-11T10:23:48Z-
dc.date.issued2010-03-
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/1889/1388-
dc.description.abstractIl recente incremento dell’esplorazione geofisica dei margini continentali e il concomitante sviluppo di tecnologie d’indagine, sismiche ed acustiche, sempre più accurate, hanno rivelato la comune presenza di vasti accumuli di sedimenti rimobilizzati a causa di franamenti sottomarini, e comunemente identificati con il termine di Mass Transport Deposit o Complex (MTD e MTC, rispettivamente). Attualmente, queste unità sono intensamente studiate non solo per ragioni strettamente scientifiche, quali il loro significato ambientale, la comprensione dei processi di innesco e il loro ruolo nell’evoluzione dei flussi densi di sedimento, ma anche per ragioni socio-economiche, principalmente nella mitigazione del rischio geologico e nell’esplorazione petrolifera. D’altra parte, gli studi di affioramento su esempi fossili di MTDs sono relativamente scarsi se rapportati all’enorme quantità di dati provenienti dalla geologia marina. Una serie di problemi emerge dai tentativi di comparazione reciproca tra i dati provenienti da questi due tipi di approccio, principalmente a causa dei limiti di risoluzione ed dei problemi di scala insiti nei due metodi, e a causa della relativa scarsità di contesti geodinamici confrontabili, e spesso caratterizzati da interpretazioni discordanti (i.e. contesti di margine convergente/collisionale versus contesti di margine divergente). Questi ultimi punti sono particolarmente evidenti per i prismi di accrezione, dove diversi fattori di controllo convergono nella formazione di “unità caotiche” a differenti scale. Questa situazione mette in luce la necessità di una comparazione sistematica ed un approccio integrato nello studio di questo tipo di unità per una migliore comprensione del loro significato geologico, specialmente per quei bacini che si trovano al di sopra dei prismi di accrezione e che rappresentano il contesto di studio ideale per la comprensione del ruolo che ricoprono i MTDs nell’evoluzione dell’intero sistema collisonale, a dispetto del loro relativamente limitato riconoscimento all’interno del registro geologico, sia recente che fossile. Tenendo conto di queste problematiche e con lo scopo di contribuire in parte a colmare tali lacune, viene qui affrontato lo studio di affioramento di un esempio fossile di MTC, conosciuto come Unità Specchio tra i geologi dell’Appennino, e classicamente ritenuto essersi sviluppato al tetto di un prisma di accezione in formazione. Questa unità è compresa nella parte basale (Rupeliano inferiore) dei depositi sin-orogenici delle Unità Epiliguri eocenico-oligoceniche, affioranti sul margine orientale dell’Appennino Settentrionale, sotto forma di resti isolati di successioni stratigrafiche (i.e. placche epiliguri), e che rappresenterebbero i riempimenti di bacini confinati di scarpata sviluppatisi al tetto della Falda Ligure durante la sua traslazione tettonica (i.e. prisma di accrezione proto-appenninico). Questo studio si compone di analisi stratigrafiche e strutturali, dalla scala cartografica a quella microscopica, svolte direttamente sui corpi da frana, e sulle successioni sedimentarie sovra- e sottostanti, e successivamente integrate da un tentativo di comparazione sistematica con i possibili analoghi moderni finora riconosciuti, focalizzando l’attenzione sugli aspetti legati sia al corpo di frana che alla fisiografia del contesto deposizionale originale. Il primo importante risultato ottenuto attraverso questi dettagliati studi d’affioramento, riguarda la suddivisione dell’Unità Specchio in cinque (5) sotto-unità che rappresentano almeno quattro (4) distinti MTDs: quelli stratigraficamente più bassi, di significato locale, mostrano provenienze dai settori meridionali, mentre quelli sovrastanti, di significato bacinale, mostrano provenienze dai settori settentrionali. Tra questi, il corpo di maggiori dimensioni raggiunge un volume stimabile a circa 150 km3. L’impilamento verticale di questi MTDs e la natura progressivamente sempre più marino-marginale dei suoi componenti, suggeriscono una deposizione da parte di eventi strettamente ravvicinati nel tempo, originatisi in seguito a processi di collasso retrogradazionale a spese di aree sempre più prossimali dell’originario bacino. Le accurate osservazioni sugli elementi interni di queste unità (i.e. matrice e blocchi) hanno permesso di sviluppare ipotesi riguardanti i possibili meccanismi evolutivi interni ai corpi di frana: in primo luogo attraverso la dettagliata descrizione di corpi sedimentari generati da processi catastrofici, che includono sia facies da slump che da debris flow (i.e. depositi da blocky flow di Mutti et al., 2006), e, secondariamente, con la caratterizzazione di quelle evidenze collegate all’influenza esercitata dal confinamento strutturale sulla messa in posto dei suddetti corpi, principalmente in termini di ridirezionamento forzato della massa franata, sovra-ispessimenti localizzati, “accoppiamento” con il substrato (erosione del fondo in senso sedimentologico), e distribuzione interna degli sforzi indotta da costrizioni morfologiche. In particolare, questo studio mette in luce la possibile presenza di un buckling laterale generalizzato (compressione + transpressione), in senso trasversale alla principale direzione di movimento, e di un taglio generalmente unidirezionale in senso longitudinale allo stesso, con importanti ripercussioni sullo studio della cinematica di questi processi. Questo studio contribuisce inoltre alla comprensione delle configurazioni dei bacini di scarpata ospitanti l’Unità Specchio, evidenziando le differenze che intercorrono tra le associazioni di facies nelle successioni sedimentarie sotto- e sovrastanti l’Unità Specchio, e suggerendo la possibile esistenza di un regime di tettonica “pellicolare” a carico delle coperture sedimentarie epiliguri (tettonica gravitativa al tetto del prisma?). Questo tipo di regime tettonico (“slope-tectonics”-type ?) prevede lo sviluppo sinergico di diapirismo fangoso ricollegabile a fenomeni di thrusting e trascorrenza, e la formazione di MTDs localizzati a piccola scala, a carico dei margini di bacino e degli alti strutturali intrabacinali; questi elementi, combinati, vanno a contribuire alla formazione di una fisiografia generalmente accidentata del profilo di scarpata, con l’enucleazione di depocentri isolati, separati da alti strutturali (i.e. above-grade slope). Infine, vengono qui tentativamente affrontate alcune considerazioni sul contesto paleogeografico generale delle successione epiligure al tempo del Rupeliano inferiore, attraverso l’integrazione delle ipotesi finora classicamente accettate in letteratura con i risultati del presente studio, principalmente in termini di direzioni di trasporto dei MTDs, della loro provenienza e del significato ambientale dei materiali coinvolti. Le evidenze di un documentato vulcanismo calkalcalino attivo, caratterizzato da centri eruttivi distanti (in particolare viene qui riportata la prima segnalazione di strati vulcanoclastici risedimentati all’interno della successione sedimentaria sovrastante l’Unità Specchio nella placca della Val Pessola), assieme alle evidenze di controllo tettonico e climatico mostrate dai depositi che segnano la ripresa della sedimentazione al di sopra del MTC, potrebbero contribuire a vincolare i possibili meccanismi di innesco e i fattori precondizionanti responsabili dello sviluppo dei MTDs costituenti, fornendo inoltre informazioni indirette sulle configurazioni generali delle aree-fonte. Queste osservazioni dimostrano come ulteriori studi specifici condotti su “unità caotiche” precedentemente sottovalutate possano contribuire in modo significativo ad una migliore comprensione del sistema orogenico appenninico, e allo stesso tempo, introdurre nuove sfide nell’applicazione dei risultati su altre catene orogeniche nel resto del mondo. Alcune delle conclusioni qui presentate sono in contrasto con l’attuale linea di pensiero secondo la quale i margini convergenti sismicamente attivi sarebbero caratterizzati dalla presenza di MTDs di dimensioni relativamente piccole, ed in minor numero rispetto a quanto ipotizzato per i margini continentali divergenti. In queste situazioni, le frane sottomarine si originerebbero preferibilmente nelle vicinanze del fronte di deformazione principale, solitamente localizzato in acque relativamente profonde. Tralasciando alcuni margini convergenti specifici (e.g. settore meridionale della fascia convergente di Cascadia, settore nord-orientale della Nuova Zelanda, Arco Aleutino occidentale), e particolarmente quelli caratterizzati da collisione continentale (e.g. settore nord-occidentale del Borneo), dove sono segnalati alcuni esempi di MTDs a grande scala e sviluppo catastrofico, nelle tipiche situazioni di margine convergente (in particolare quelle caratterizzate da consunzione di crosta oceanica; e.g. Perù, Costa Rica), le frane sottomarine con dimensioni comparabili a quelle dei margini divergenti sono invece caratterizzate da una cinematica relativamente lenta, e comunemente attribuite a fenomeni legati alle dinamiche di subduzione (e.g. collisione di un seamount). Ciononostante, questo lavoro sembra confermare lo sviluppo di MTDs a grande scala e di carattere catastrofico nei dominii deposizionali più interni di un prisma d’accrezione (i.e. in posizione interna rispetto al fronte di deformazione principale, nel senso di vergenza orogenica della catena), originandosi da collassi in ambiente marino-marginale (i.e. acque relativamente basse), anche con il possibile coinvolgimento di aree prossime alla linea di costa, con importanti implicazioni, soprattutto dal punto di vista del rischio geologico (e.g. alto potenziale tsunamigenico). In conclusione è possibile perciò affermare che un approccio di campagna di tipo integrato allo studio dei MTDs contribuirebbe in modo determinante alla risoluzione dei problemi di scala inerenti lo studio dei depositi da frana sottomarina. In particolare, questo tipo di approccio apporterebbe un significativo ausilio alla corretta interpretazione delle “unità caotiche”, sedimentarie e tettoniche, affioranti nelle catene orogeniche, così come quelle che caratterizzano le moderne fasce convergenti sottomarine.it
dc.description.abstractThe recent increasing in geophysical exploration of continental margins and the concomitant progress of increasingly more sophisticated seismic- and acoustic-imagery technologies have shown the widespread occurrence of large accumulations of remolded sediments generated by submarine landslides, and commonly referred to as Mass Transport Deposits or Complexes (MTD and MTC, respectively). These units are being intensively investigated, not only for strictly scientific reasons, such as their environmental significance, understanding of triggering processes, and their role in the transformation of density flows, but also because of economic and social implications, mainly in terms of hydrocarbon exploration and production, and geohazards. On the other hand, field-based studies on ancient examples of MTDs are relatively scarce with respect to the huge amount of data derived from marine geology. Many problems arise from the tentative comparison of the data derived from these two different approaches, mainly because of the resolution limits and scaling problems between these methods, and for the limited occurrences of comparable geodynamic contexts and relative unambiguous interpretations (i.e. collisional/convergent versus divergent margin settings). This is particularly evident for accretionary systems, where several controlling factors combine to produce “chaotic units” at different scales. This kind of situation highlights the need of a systematic comparison and an integrated approach to the study of such units for a better understanding of their geologic significance, especially for those depositional environments located on top of accretionary prisms, which represent an ideal setting for studying the role of mass transport deposits in the wedge evolution, in spite of their yet relatively poor recognition in the modern and ancient rock record. Keeping in mind the above problems and in order to partly fill this gap, this study has been carried out through a field-based work carried on an ancient example of MTC, known as the Specchio Unit among the Apennine geologists, and typically developed on top of an accretionary prism. This unit occurs within the lower Rupelian rocks of the syn-orogenic sedimentary record of the Eocene-Oligocene Epiligurian succession, cropping out in the eastern side of the Northern Apennines (Italy) as isolated sedimentary remnants (i.e. outliers), representing the fill of local intra-slope basins developed on top of the translating Ligurian Nappe (i.e. proto-Apenninic accretionary wedge). This study has been developed through cartographic- to microscopic-scale stratigraphic and structural analyses, collected directly on the slide bodies and on the over- and under-lying sedimentary succession, along with an attempt of systematic comparison with so far recognized modern analogs, focusing on both the slide-related features and the overall physiography of the original depositional setting. The first important result coming out from these detailed outcrop studies, is the subdivision of this MTC into five sub-units, representing at least four distinct MTDs: the lower ones, of local significance, derived from the southern sectors, and the upper ones, of basin-wide extent, derived from the northern sectors. The largest MTD reaches an inferred volume of involved material of about 150 km3. The vertical stacking of these MTDs and the progressively “shallower water nature” of the internal components, seems to represent the deposition from closely spaced events, originated through a retrogressive failure process, involving progressively more proximal areas. Careful observations carried on the internal elements of these units (i.e. matrix and blocks) allow considerations on slide mechanics, with the detailed characterization of sedimentary bodies generated by catastrophic processes, which include both slump- and debris flow-like facies (i.e. blocky-flow deposits of Mutti et al., 2006), and the influence exerted by structural confinement on the slide emplacement, mainly in term of forced slide direction, localized over-thickening, substrate coupling (bed erosion in a sedimentological sense) and margin-induced strain partitioning. In particular, this study highlights the likely occurrence of a generalized lateral buckling (compression + transpression), transversally to the main sliding direction, and an overall unidirectional shearing in the longitudinal sense, giving important information on the slide kinematics. This study also contributes to the understanding of the local intra-slope basin configuration, highlighting the differences in facies associations between pre- and post-slide emplacement sedimentary successions, and the possible existence of an overall shallow level tectonism (gravity-related?). This kind of “slope-tectonics”-type regime forecasts the synergic development of thrust- and strike slip-related shale diapirism and local, small-scale MTDs, affecting basin margins and intrabasinal highs, and contributing to the development of an overall above-grade slope physiography. Moreover, some regional considerations on the palaeogeograhic setting of the lower Rupelian Epiligurian succession can be made, integrating the so far accepted hypothesis from the literature with the results of this study, mainly in terms of transport directions, provenance and environmental significance of the involved material. The evidence of a far-located calcalkaline volcanism (in particular here I report the first recognition of resedimented volcaniclastic beds in the sedimentary succession on top of the Specchio unit, in the Pessola Valley outlier), along with the climatic- and tectonic-related signatures characterizing the restored sedimentation, could contribute in constraining the possible triggering mechanisms and preconditioning factors of slide development, thus giving indirect information on the general configurations of source areas. These observations demonstrate that further specific studies on previously overlooked “chaotic” units may significantly contribute to a better understanding of the Apenninic orogenic system, and, at the same time, introducing new challenges for their application into other orogenic belts worldwide. Part of these conclusions are in contrast with the nowadays-generalized belief that seismically active convergent margins are characterized by the occurrence of relatively few and smaller scale MTDs, if compared to divergent margin settings. In such contexts, submarine landslides are thought to develop close to the main deformation front, commonly located in deep-water settings. Apart from some specific convergent margins (e.g. southern Cascadia, NE New Zealand, western Aleutinian Arc), particularly those involving a continental collision (e.g. NW Borneo), where some catastrophic, large-scale MTDs are observed to occur, in typical convergent margin settings (particularly those involving oceanic crust consumption; e.g. offshore Perù, Costa Rica), MTDs sharing huge dimensions with those of divergent margins are instead characterized by overall slow-rate motion, and are thought to be commonly linked to subduction dynamics (e.g. colliding seamount). In spite of these interpretations, this work seems to confirm the possible occurrence of catastrophic, large-scale MTDs on the internal depositional domains of an accretionary prism (i.e. internally from the main tectonic front), which may originate from shallow-water regions, also possibly involving near-shore areas, with consequent important implications, for example, in terms of geohazard purposes. In summary, it is possible to suggest that an integrated field-based approach to the study of MTDs may significantly contribute to solve some scaling problems about submarine landslide deposits. In particular, this approach should be useful in facing the difficulties regarding the interpretation of “chaotic” units cropping out in orogenic belts, as well as those characterizing modern submarine collisional belts.it
dc.language.isoIngleseit
dc.publisherUniversità degli Studi di Parma, Dipartimento di Scienze della Terrait
dc.relation.ispartofseriesDottorato in Scienze della Terrait
dc.rights© Kei Ogata, 2010it
dc.subjectAncient mass transport depositsit
dc.subjectConfined basinsit
dc.subjectEpiligurian successionit
dc.subjectSubmarine landslide processesit
dc.subjectRanzano unitit
dc.titleMass Transport Complexes in bacini confinati a controllo strutturale: l'Unità Epiligure di Specchio (Appennino Settentrionale)it
dc.title.alternativeMass Transport Complexes in structurally-controlled basins: the Epiligurian Specchio Unit (Northern Apennines, Italy)it
dc.typeDoctoral thesisit
dc.subject.miurGEO/02it
dc.description.fulltextopenen
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PANEL 1 LR.pdfallegato n.1 carte geologiche10.17 MBAdobe PDFView/Open
PANEL 2 LR.pdfallegato n.2 dati strutturali7.49 MBAdobe PDFView/Open
PANEL 3 LR.pdfallegato n.3 sezioni stratigrafiche di riferimento3.84 MBAdobe PDFView/Open
PANEL 4 LR.pdfallegato n.4 sezioni stratigrafiche di dettaglio18.44 MBAdobe PDFView/Open
OGATA PhD Thesis LR.pdftesto principale e figure63.82 MBAdobe PDFView/Open


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