Please use this identifier to cite or link to this item: https://hdl.handle.net/1889/4404
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dc.contributor.advisorMonacelli, Nadia-
dc.contributor.authorCiaramella, Maria-
dc.date.accessioned2021-06-09T12:14:44Z-
dc.date.available2021-06-09T12:14:44Z-
dc.date.issued2021-
dc.identifier.urihttps://hdl.handle.net/1889/4404-
dc.description.abstract1.Introduzione Nel 2014, nell’ambito dell’Agenzia Europea Frontex, prese avvio l’operazione Triton, coordinata dall’Italia. Da quel momento e fino al 2018, tutte le persone soccorse in mare dovevano essere portate in salvo sulle coste italiane. Una volta arrivate sul territorio, queste persone dovevano essere messe nella condizione di potere avanzare una richiesta di asilo o di protezione internazionale. Il già esistente sistema di accoglienza dedicato alle persone richiedenti asilo (SPRAR) si basava sulla disponibilità volontaria degli enti locali e non era in grado di gestire l’elevato numero di persone in arrivo. Furono per questa ragione istituiti (art. 11 Dlgs. n.142/2015) i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) sotto la diretta gestione degli Uffici Territoriali del Governo (Prefetture). I CAS erano quindi pensati come strutture temporanee ed emergenziali. Le azioni messe in atto dai CAS dovevano, innanzitutto, rispondere ai bisogni primari delle persone accolte, in termini di vitto, alloggio e assistenza sanitaria. Ma, a dispetto del loro carattere temporaneo, e alla stregua dello SPRAR, i CAS avevano l’obbligo di svolgere attività (apprendimento della lingua italiana, istruzione, formazione, inserimento nel mondo del lavoro e nel territorio, assistenza legale e psicosociale) finalizzate all’acquisizione di strumenti di base per favorire i migranti accolti nei processi di integrazione, di autonomia e di acquisizione di una cittadinanza consapevole. 1.1 I richiedenti asilo: L’accoglienza in Italia e una possibile traiettoria resiliente La maggior parte dei richiedenti asilo proveniva dall’Africa subsahariana o dall’Asia Meridionale (Afghanistan e Bangladesh e Pakistan) e aveva alle spalle un lungo viaggio di cui la traversata mortifera via mare o attraverso i Balcani o il Caucaso era solo l’ultima tappa. La durata media del viaggio dal paese di origine era di venti mesi, che si svolgevano quasi sempre al limite della soglia di sopravvivenza. È ormai ben documentato il fatto che la privazione di cibo, di ripari, l’affaticamento estremo, il senso di minaccia, i maltrattamenti ripetuti, i lutti dovuti alla perdita di persone care durante gli spostamenti sono condizioni che accomunavano tutti questi percorsi migratori. A queste, si aggiungeva, per la maggior parte di loro, un periodo di reclusione, che poteva superare l’anno, nei centri di detenzione della Libia dove le condizioni disumane, la pratica sistematica della tortura e della violenza sessuale sono state rese note e denunciate dalle principali organizzazioni internazionali, come Medici Senza Frontiere e Amnesty International (Fondazione Migrantes, 2018). Inoltre, l’alto potenziale traumatico di queste esperienze si aggiunge a vissuti altrettanto tragici legati alle circostanze di vita nel paese di partenza che aumentano la vulnerabilità dei migranti. Infatti, questi sono il più delle volte costretti a scappare da condizioni di instabilità politica, di gravi conflitti interni civili e di estrema povertà. È per quanto fin qui descritto che si può affermare che le persone in arrivo nei CAS sono portatrici di storie potenzialmente traumatiche e ad alta complessità psicosociale che richiedono un’attenzione particolare. Le pratiche d’accoglienza che vengono messe in atto nei centri devono tenere conto di tale complessità nel rispondere ai bisogni di ogni persona, sia nella dimensione psicologica sia in quella sociale. In questo modo, nel cercare di raggiungere l’obiettivo ultimo dell’integrazione dei richiedenti accolti, i progetti d’accoglienza potrebbero favorire la definizione di un loro processo di resilienza che li porti a vivere una condizione socialmente accettabile e di benessere. Il concetto di resilienza ha suscitato molto interesse in letteratura negli ultimi decenni. Un primo dato storico nell’evoluzione della teorizzazione di questo concetto (Cicchetti & Garmezy,1993) è lo spostamento dell’interesse dalla patologia e dalla vulnerabilità alla resilienza, che si può ricondurre alla diffusione di una prospettiva positiva e salutogena nella ricerca e nella pratica clinica e psicosociale (Bonanno & Diminitch, 2013; Bonanno, Westphal, & Mancini, 2011; Cicchetti, 2013; Cyrulnik & Malaguti,2015; Walsh, 2016). Negli anni il concetto di resilienza è stato indagato a partire da diversi approcci. Da alcuni autori (Costa & McRae, 1980) è stato studiato come un tratto di personalità, stabile e fisso, da altri (Wagnild & Young, 1993) come l’abilità di fronteggiare e adattarsi positivamente a eventi stressanti o avversivi. Cicchetti (2013), concettualizzando la resilienza come un processo, ha concentrato l’attenzione sui fattori che lo determinano, con particolare interesse a quelli genetici e neurali. Bonanno e Diminitch (2013) si sono, invece, concentrati su quei fattori di rischio o quelle condizioni esistenziali potenzialmente vulnerabili che possono determinare il processo e che gli autori (Bonanno et al., 2011) definiscono come eventi potenzialmente traumatici (EPT). Rutter (2012), da parte sua, ha teorizzato la resilienza come un concetto dinamico dato dalla continua interazione tra i fattori protettivi e di rischio, portando all’attenzione l’influenza ambientale. Tuttavia, sebbene l’autore (Rutter, 2012) abbia messo in luce la funzione dell’ambiente nel processo di resilienza, sono gli approcci più ecologici e sociali (Anaut, 2005; Cyrulnik, 2001; Cyrulnik & Malaguti, 2015; Malaguti, 2012; Walsh, 2016) che hanno enfatizzato e dato maggiore importanza ai fattori contestuali, sociali, familiari e relazionali nella definizione del processo di resilienza. In particolare, secondo Cyrulnik (2001), posti i fattori di protezione, il processo non può avvenire che nell’ambito di relazioni significative. Nello specifico, l’autore distingue tre elementi fondamentali che rendono conto, nell’insieme, del processo: 1- le esperienze pregresse nell’infanzia e nella storia personale dell’individuo, la qualità dei legami di attaccamento e la capacità di mentalizzazione; 2- il trauma e le sue caratteristiche (strutturali, contingenti ed emotive e sociali); 3- la possibilità di risignificare la tragedia avvenuta attraverso il sostegno affettivo e la relazione d’aiuto, descritta, genericamente come l’incontro con l’Altro. Secondo l’autore, la persona costruisce nel proprio passato, in particolar modo durante l’infanzia, attraverso il legame di attaccamento sufficientemente sicuro, le risorse e la capacità di mentalizzazione utili per affrontare e risignificare il trauma. È in questo spazio relazionale quindi che la persona forma una rappresentazione di Sé come persona amabile, capace di affidarsi e di costruire relazioni forti e significative anche in futuro. La capacità e la possibilità di costruire queste relazioni sono viste come le condizioni che possono aiutare la persona a riconoscere le risorse da attivare per superare la profonda ferita incisa dall’esperienza traumatica e per ristabilire un equilibrio nella propria esistenza. Nell’ultima fase della sua teoria l’autore specifica l’importanza di una figura che chiama tutore di sviluppo o di resilienza, le cui caratteristiche e funzioni sono approfonditamente delineate nella pubblicazione di Lighezzolo, Marchal, & Theis (2003). Secondo gli autori, il tutore di resilienza deve favorire un processo di autonomia e ri-strutturazione del sé, trasmettere sapere, fornire esempi e modelli che permettano e legittimino l’errore; non deve quindi ricoprire un ruolo insostituibile e onnipotente. Il tutore di resilienza, sia esso una persona adulta informale o una figura istituzionalizzata nel sistema di cura e presa in carico della persona, è una risorsa esterna che coadiuva nel processo di resilienza. In questo ultimo caso, la formazione e la definizione del ruolo dell’operatore nel processo di presa in carico contribuiranno alla costruzione di un efficace intervento sociale e clinico per la promozione della resilienza nell’assistito (Manciaux, 2001). Negli ultimi anni, una serie di rassegne internazionali (Agaibi & Wilson, 2005; Siriwardhana, Ali, Roberts, & Stewart, 2014; Sleijpen, Boeije, Kleber, & Mooren. 2016) e in Italia (Tessitore & Margherita, 2017), hanno tentato di sistematizzare i risultati degli studi sul processo di resilienza nell’esperienza potenzialmente pluritraumatica della migrazione, con particolare attenzione alla condizione esistenziale di rifugiato. I risultati evidenziano e si concentrano, soprattutto, sui principali fattori di rischio e quelli protettivi che possono intervenire nel processo di resilienza a seguito di queste esperienze pluritraumatiche. In questi lavori emerge, tuttavia, la necessità per la ricerca di individuare strategie e procedure per interventi e pratiche mirati ed efficaci a promuovere il processo di resilienza nei contesti dell’accoglienza. In particolare, rispetto al contesto italiano si riscontra che sono stati svolti pochi studi sul tema, ancora da approfondire (Tessitore & Margherita, 2017). L’analisi approfondita delle pratiche costruite e messe in atto nell’ambito dell’accoglienza negli ultimi anni in Italia risulta rilevante per una sistematizzazione di conoscenze e competenze e utili per la progettazione di interventi psicosociali efficaci. La presente ricerca si poneva l’obiettivo di studiare, se e in che misura, le pratiche dell’accoglienza e le strategie di intervento messe in atto nel sistema CAS di Parma e Provincia abbiano favorito un processo di resilienza nei richiedenti asilo accolti. Inoltre, si poneva l’obiettivo di comprendere se e in che modo l’operatore dell’accoglienza potesse svolgere una funzione di tutore di resilienza. Poiché basandosi sulla teorizzazione di Cyrulnik (2001), l’esito del processo di resilienza è dato dall’interazione dei fattori protettivi individuali, dalla qualità/intensità del trauma e/o comunque delle situazioni avverse e dall’incontro con i possibili tutori di resilienza, il progetto si è sviluppato in due fasi e ha tenuto conto sia dell’esperienza dei richiedenti asilo sia di quella degli operatori. Rispettivamente, nella prima fase l’obiettivo della ricerca si proponeva di individuare le risorse/vincoli personali presenti nella biografia dei richiedenti asilo, i vissuti emotivi e la qualità dei legami stabiliti nel passato, di individuare le risorse/vincoli messe in gioco durante il viaggio e, infine, di individuare le risorse/vincoli con funzione protettiva dal momento dell’arrivo in Italia e in particolare nel CAS di residenza e nella relazione con gli operatori. Nella seconda fase, la ricerca mirava a individuare le risorse e le competenze, rintracciabili nelle biografie degli operatori dei CAS messe in gioco nella pratica professionale e di conoscere le loro motivazioni alla base della scelta professionale, e a comprendere il significato e l’uso consapevole della relazione con i richiedenti asilo nella loro pratica professionale e, infine, a valutare la qualità della loro vita professionale tenendo conto del forte carico emotivo dovuto alla relazione con i richiedenti asilo e il loro vissuti traumatici. 2. Migrazione ed Europa: Una revisione sistematica sulla promozione della resilienza dei richiedenti asilo negli Stati membri dell'Unione Europea. La migrazione è un fenomeno complesso determinato dall'interazione di fattori di espulsione e di attrazione. L'Europa ha sempre svolto un ruolo di attrazione nei flussi migratori. Negli ultimi anni, le direttive per gli Stati membri hanno mirato a promuovere il benessere dei richiedenti asilo. È importante sviluppare la resilienza per raggiungere il benessere delle persone. L'obiettivo della revisione sistematica è stato quello di esplorare come viene studiata la resilienza nei richiedenti asilo nei paesi dell'UE. Sono stati consultati i database internazionali PsycINFO, PubMed, Web of science, Scopus, MEDLINE, Psychology e behavioural collection. Gli articoli sono stati analizzati secondo i criteri PRISMA. Sono stati ottenuti 12 articoli. Dall'analisi qualitativa sono emersi tre approcci principali e quattro principi teorici fondamentali che potrebbero guidare lo studio della resilienza in contesti migratori. Lo studio della resilienza può essere orientato verso un approccio clinico, clinico e sociale o psicosociale. Inoltre, la ricerca ha tenuto conto della necessità di costruire una nuova narrazione di sé e della propria storia nei richiedenti asilo, di restituire agency ai richiedenti asilo, di valorizzare il proprio contesto culturale e quello del paese ospitante e di promuovere una democratizzazione del sistema istituzionale di accoglienza. Si suggeriscono implicazioni per le politiche degli Stati membri dell'UE coinvolti in prima linea nella gestione dell'accoglienza in Europa. Data la limitata letteratura sull'argomento, questa rassegna suggerisce una nuova e originale visione di presa in carico dei richiedenti asilo attraverso una maggiore implementazione di interventi focalizzati sull'individuo e sulle sue risorse. 3. Promozione della salute psicosociale nei migranti: una revisione sistematica della ricerca e degli interventi sulla resilienza nei contesti migratori. La resilienza è identificata come una capacità chiave per prosperare di fronte a esperienze avverse e dolorose e raggiungere un buono stato di salute psicosociale equilibrato. Questa revisione mirava ad indagare come la resilienza è intesa nel contesto della ricerca sul benessere dei migranti e come gli interventi psicosociali sono progettati per migliorare la resilienza dei migranti. Le domande della ricerca hanno riguardato la concettualizzazione della resilienza, le conseguenti scelte metodologiche e quali programmi di intervento sono stati indirizzati ai migranti. Nei 63 articoli inclusi, è emersa una classica dicotomia tra la resilienza concettualizzata come capacità individuale o come risultato di un processo dinamico. È anche emerso che l'importanza delle diverse esperienze migratorie non è adeguatamente considerata nella selezione dei partecipanti. Gli interventi hanno descritto la procedura ma meno la misura della loro efficacia. 4. Il sistema d’accoglienza straordinaria di Parma e provincia: soddisfazione e benessere percepito dai migranti accolti. I servizi e le progettualità messi in atto nei CAS mirano a favorire integrazione, autonomia e benessere. Questi obiettivi si strutturano sull’attivazione e promozione di risorse dei richiedenti asilo. Nello specifico, vanno ad innestarsi sulle loro abilità, sulle conoscenze, sulle competenze, sulla loro agency e sulla capacità di proiettarsi verso un futuro. Poiché i richiedenti asilo sono i principali attori e fruitori di questi servizi, la valutazione di efficacia e di raggiungimento degli obiettivi preposti deve tenere conto necessariamente del loro punto di vista. I richiedenti asilo che hanno partecipato allo studio erano circa il 20% della popolazione dei richiedenti asilo adulti presenti nel territorio di Parma e provincia. Per la stratificazione del campione si è tenuto conto della variabile del paese di origine, della collocazione sul territorio provinciale (distretto) e il tempo di permanenza nel sistema CAS. È stato costruito un questionario ad hoc che mirava ad indagare la percezione di autonomia, di benessere personale, di soddisfazione verso sé stesso, la percezione di essere rispettato nelle proprie tradizioni culturali e la soddisfazione verso il servizio. Il questionario constava di una parte introduttiva, che forniva una breve descrizione al partecipante delle finalità d’indagine, e di diverse sezioni, che indagavano e approfondivano specifiche aree (temi) di interesse. Le prime due aree hanno rilevato i dati socio-anagrafici e il viaggio dei richiedenti asilo. La terza e la quarta area hanno indagato l’accoglienza nel centro e la struttura in cui risiedeva il beneficiario. Le altre aree si sono concentrate sui servizi primari (beni e servizi di prima necessità, assistenza medica) e servizi secondari (assistenza legale, lingua italiana, sostegno psicosociale, lavoro, mediazione culturale, orientamento al territorio e tempo libero) che gli venivano offerti. Le ultime sezioni si focalizzavano sul rapporto con gli operatori, sul progetto individualizzato e sui propri piani futuri. Alla fine del questionario vi era una breve sezione che mirava ad indagare la soddisfazione generale verso l’intero processo di accoglienza in Italia e la specifica esperienza nel territorio di Parma e provincia. Sono state effettuate delle analisi ed elaborazioni statistiche descrittive tramite il software SPSS. Dal questionario è emerso un quadro complessivo dei servizi offerti e una mappatura delle pratiche messe in atto all’interno delle strutture a partire dal punto di vista dei richiedenti asilo. Questi hanno espresso una generale soddisfazione del sistema accoglienza in Italia e in particolare di quella ricevuta a Parma. Hanno riportato un senso di protezione e sicurezza e una generale percezione di capacità e autonomia raggiunta in molti dei servizi e ambiti della quotidianità. Le aree più critiche sono risultate essere l’assistenza legale, l’avviamento lavorativo, la creazione di relazioni sociali con italiani nel tempo libero, la progettazione individualizzata e in particolare il sostegno psicosociale e, infine, la progettazione futura. In queste aree i richiedenti asilo hanno espresso una bassa soddisfazione verso il servizio di sostegno ricevuto, una scarsa consapevolezza di sé e delle proprie capacità e una bassa percezione di un’autonomia conquistata dal singolo servizio e, più in generale, dalla struttura d’accoglienza. 5. Vissuti, fattori di protezione e fattori di rischio nelle biografie dei richiedenti asilo: la definizione di traiettorie di resilienza nei Centri d’Accoglienza Straordinaria. I richiedenti asilo sono portatori di storie potenzialmente traumatiche a seguito delle quali possono vivere distress psicologico e PTSD nel paese d’accoglienza. Qui vengono inseriti in programmi che mirano a favorire benessere psicologico e integrazione. Tale processo è definito resilienza, La resilienza è un processo che vede le persone impegnate a guarire da esperienze dolorose, a prendersi cura della propria vita per continuare a svilupparsi positivamente in modo socialmente accettabile. Il presente studio mira a comprendere i fattori di protezione e le risorse personali e sociali che possono favorire il superamento dei traumi e un processo di resilienza nei richiedenti asilo. Sono stati somministrati 29 test CORE-10 e questionari costruiti ad hoc per il sostegno sociale percepito e condotte altrettante interviste in profondità. Con risultati moderati e gravi di distress psicologico nei partecipanti, sono emersi fattori protettivi e risorse già nella fase pre-migratoria. I legami di accudimento sembrano svolgere una funzione protettiva anche durante l’accoglienza, favorendo la costruzione di rapporti di fiducia. Il supporto sociale della comunità d’accoglienza e quello degli operatori nei centri possono influenzare la definizione di traiettorie resilienti. Lo studio solleva implicazioni di tipo clinico e sociale. Nei suoi limiti lo studio vuole essere un’apertura a nuovi approfondimenti di ricerca. 6. La qualità della vita professionale di chi lavora con i richiedenti asilo: Compassion Staisfaction, Burnout e Secondary Traumatic Stress negli operatori dell’accoglienza In Italia negli ultimi anni sono stati strutturati Centri di Accoglienza Straordinaria per rispondere ai bisogni primari e secondari dei richiedenti asilo approdati sulle coste mediterranee. A seguito dell’apertura dei CAS, sul territorio nazionale si è formato un nuovo corpo professionale, i professionisti dell’accoglienza. Poiché inizialmente non è stata richiesta una formazione specifica in base al contesto e agli obiettivi posti, il loro profilo professionale derivava tendenzialmente dai diversi percorsi formativi e lavorativi precedenti. Considerando il mandato istituzionale del loro lavoro, quale favorire l’accoglienza e una completa presa in carico dei richiedenti asilo, i professionisti dell’accoglienza sono quotidianamente coinvolti nella relazione con gli accolti ed esposti ai racconti traumatici o ai sintomi agiti di questi. Infatti, i richiedenti asilo sono persone spesso profondamente traumatizzate dalle esperienze passate, dal viaggio, ma anche disorientate e impreparate per la complessa esperienza dell’accoglienza e dell’integrazione. Questo aspetto del lavoro con i richiedenti asilo può influenzare il clima e la qualità della vita professionale dei professionisti dell’accoglienza. Infatti, come nelle altre professioni d’aiuto continuamente esposte a eventi stressanti o traumatici, anche nel lavoro di cura e accoglienza dei richiedenti asilo è alto il rischio di sviluppare i sintomi negativi associati al burnout e al trauma vicario. Sebbene, negli ultimi venti anni, la qualità della vita professionale sia stata ampiamente approfondita in diversi settori, non risultano studi che esplorino questo tema tra i professionisti del settore dell’accoglienza. In questo studio è stato sottoposto il questionario ProQOL 5 ai professionisti dell’accoglienza dei Centri di Accoglienza Straordinaria di Parma e provincia, attivamente coinvolti nella relazione d’aiuto con i richiedenti asilo, con lo scopo di definire lo stato di benessere psicosociale rispetto alla loro qualità di vita professionale. Anche se si è dimostrato che mediamente i professionisti dell’accoglienza riportano una buona soddisfazione nello svolgere il proprio lavoro, sono emersi tre profili. Il primo gruppo sembra esprimere soprattutto Burnout, il secondo gruppo una maggiore Compassion Satisfaction e il terzo gruppo un malessere evidente sia per il Burnout che per il Secondary Traumatic Stress. I dati ottenuti permettono di colmare parzialmente un vuoto nella letteratura di settore. Inoltre, la rilevanza dei dati spinge alla riflessione sulla possibilità di incoraggiare interventi efficaci di prevenzione e management delle organizzazioni, al fine di favorire il benessere psicosociale di questo corpo professionale emergente. 7. Essere professionisti dell’accoglienza: l’importanza di un uso consapevole del Se’ nella relazione d’aiuto e la funzione del tutore di resilienza. All’interno dei CAS sono stati impiegati professionisti di differenti background formativi ed esperienziali. Appannaggio degli operatori è l’attivazione dei servizi interni ed esterni e il monitoraggio di tutte le fasi del progetto di accoglienza. La presa in carico si configurerebbe come una relazione d’aiuto possibile attraverso la compresenza di diversi aspetti di Sé. Chi lavora con i richiedenti asilo deve affrontare e gestire vissuti potenzialmente traumatici che influenzano il buon esito dell’intervento clinico-sociale. Nel favorire benessere psicologico nei beneficiari, gli operatori svolgono funzioni che richiamano quelle del tutore di resilienza. In questo studio si è esplorata la rappresentazione dei professionisti dell’accoglienza e la consapevolezza di Sé a partire dal loro punto di vista. Sono stati condotti tre focus group e le trascrizioni verbatim sono state analizzate secondo l’approccio IPA. Sono emersi tre aspetti del Sé (Sé personale, Sé professionale e Sé burocrate). Il Tempo e il Contesto sociale sono risultate possibili variabili che influenzano la relazione d’aiuto. Lo studio propone implicazioni di ricerche future e di policy. 8. Conclusioni Negli anni il sistema italiano dell’accoglienza si era ormai rodato e formalizzato su due principali dispositivi: il sistema SPRAR e i cosiddetti Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). Tuttavia, negli ultimi due anni, con il cosiddetto decreto Salvini (D.lg. 4/19/2018 n° 113), si è assistito ad un graduale ridimensionamento dei numeri degli accolti e ad una conseguente chiusura di strutture del sistema CAS. Pertanto, assume rilevanza e importanza capitalizzare le esperienze di accoglienza e comprenderne maggiormente le potenzialità e i limiti. Con la presente ricerca e le analisi delle pratiche d’accoglienza e delle progettualità messe in atto all’interno del sistema CAS sono emersi due risultati principali. Il primo risultato emerso è che i richiedenti asilo accolti abbiano consapevolezza delle risorse e dei fattori protettivi che hanno acquisito nell’arco di vita. Inoltre, si è evidenziata una forte e imprescindibile interdipendenza tra i vissuti psicologici, i bisogni e le risorse dei richiedenti asilo e la funzione relazionale dell’operatore dell’accoglienza. Dalla ricerca è emerso che il valore di tale interdipendenza, non essendo riconosciuto formalmente e quindi esplicitamente richiamato nelle norme e regolamentazioni, era dipeso da un reciproco riconoscimento dei richiedenti asilo accolti e degli operatori. Tuttavia, questa relazione, se opportunamente strutturata e formalizzata, può favorire la definizione di traiettorie di resilienza e il raggiungimento degli obiettivi di integrazione, autonomia e benessere psicosociale. Al momento in cui è stata condotta la ricerca, questi obiettivi erano parzialmente raggiunti. Infatti, sebbene nel sistema d’accoglienza i richiedenti asilo abbiano percepito di essere in un luogo sicuro e protetto e fossero generalmente soddisfatti dei servizi offerti, hanno riportato livelli medio-alti di disagio psicologico. Il valore traumatico delle loro esperienze di vita è stato esplorato e compreso nella sua diacronicità, in quanto i vissuti traumatici sono rintracciabili non solo durante il viaggio ma già nelle esperienze pre-migratorie. Le biografie dei richiedenti asilo sono segnate da profonde ferite, che spesso risalgono a perdite, lutti o tradimenti da parte delle figure significative dell’infanzia o della comunità allargata, fino a sentirsi espulsi dalle politiche disattente degli Stati d’appartenenza. Anche l’arrivo in Italia e l’inserimento nel sistema d’accoglienza comportano sfide esistenziali, che in alcuni casi arrivano a reiterare esperienze traumatiche passate. Nonostante questo, i richiedenti asilo hanno mostrato consapevolezza delle proprie risorse e dei fattori di protezione acquisiti già durante l’infanzia, attraverso le relazioni significative e di accudimento. Queste risorse hanno svolto una funzione di protezione e sostegno nel loro sforzo psicologico di fronteggiare e sopravvivere alle avversità incontrate in tutto l’arco di vita. Nonostante la loro consapevolezza e tenuto conto della permanenza relativamente lunga nel sistema d’accoglienza, è risultato che le esperienze traumatiche non trovano uno spazio adeguato di ascolto e di ri-significazione una volta inseriti nei progetti di accoglienza. Le caratteristiche strutturali e organizzative del sistema non sembrano favorire quell’incontro con l’Altro che può garantire la rielaborazione delle esperienze passate e riattribuire senso e agency alla propria vita, anche nella quotidianità. Al contrario, i richiedenti asilo sono consapevoli di ritrovarsi in una posizione di svantaggio rispetto al potere decisionale sui loro progetti di vita. Non sono coinvolti nelle scelte progettuali e non percepiscono una crescita personale nelle competenze e nelle capacità necessarie per rendersi autonomi. Tuttavia, i richiedenti asilo riconoscono negli operatori degli interlocutori diretti che svolgono un ruolo di congiunzione con la società ospitante. Nello svolgimento del proprio ruolo, gli operatori possono aprirsi ad un ascolto attivo di tutte le parti della biografia dei richiedenti asilo per costruire un rapporto di fiducia. Al fine di favorire la costruzione di tale rapporto, è importante che gli operatori nella loro pratica quotidiana mirino a riattribuire agency ai richiedenti asilo, coinvolgendoli nella progettazione individualizzata. Ciò favorirebbe la valorizzazione e l’attivazione delle risorse dei richiedenti asilo, l’instaurarsi di relazioni di fiducia che consentano la ricostruzione di significato delle proprie esperienze traumatiche di vita e la restituzione di una rappresentazione di Sé attiva e agente. In generale, si otterrebbe una maggiore adesione al progetto d’accoglienza. Inoltre, la valorizzazione della funzione relazionale degli operatori dell’accoglienza favorirebbe una maggiore qualità di vita professionale. I professionisti avrebbero così la possibilità di riconoscere e far riconoscere il proprio ruolo, che è stato profondamente messo in discussione dalla comunità e dalle politiche degli ultimi anni. Quindi, l’ascolto attivo, la riattribuzione di agency e l’esempio nella quotidianità da parte degli operatori favorirebbero il riconoscimento del loro ruolo come tutori di resilienza e promuoverebbero la definizione di traiettorie di resilienza. In questo modo si faciliterebbe il raggiungimento di uno stato di salute psicosociale nei richiedenti asilo. La legittimazione del ruolo funzionale della relazione tra i richiedenti asilo e gli operatori dell’accoglienza da parte del contesto sociale e istituzionale diventa un fattore necessario allo sviluppo di buone pratiche d’accoglienza e alla promozione di traiettorie di resilienza. 9. 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dc.language.isoItalianoen_US
dc.publisherUniversità degli Studi di Parma. Dipartimento di Discipline umanistiche, sociali e delle imprese culturalien_US
dc.relation.ispartofseriesDottorato di ricerca in Psicologiaen_US
dc.rights© Maria Ciaramella, 2021en_US
dc.rightsAttribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italiaen_US
dc.rights.urihttp://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/*
dc.subjectResilienceen_US
dc.subjectasylum seekersen_US
dc.subjecthelp relationen_US
dc.subjectExtraordinary Reception Centersen_US
dc.titleLa definizione di traiettorie resilienti nei richiedenti asilo accolti nei Centri d'Accoglienza Straordinaria. I professionisti dell'accoglienza e della cura come possibili tutori di resilienza.en_US
dc.title.alternativeThe definition of resilient trajectories in asylum seekers hosted in the Extraordinary Reception Centers. Reception and health professionals as possible tutor of resilience.en_US
dc.typeDoctoral thesisen_US
dc.subject.miurM-PSI/05en_US
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