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Title: Treating pain to modulate Frailty: a bench to bedside mechanism based model
Authors: D'Agnelli, Simona
Issue Date: 2021
Publisher: Università degli Studi di Parma. Dipartimento di Medicina e chirurgia
Document Type: Doctoral thesis
Abstract: Il dolore è ad oggi uno dei principali problemi invalidanti che grava sulla salute pubblica, con un’elevata prevalenza nella popolazione sia nella sua forma acuta che cronica. Il dolore acuto, sviluppato solitamente in seguito a un danno tissutale, ha funzione “sentinella” di difesa che, però, quando non opportunamente trattato, può evolvere in dolore cronico, perdendo la sua funzione di difesa e trasformandosi esso stesso in malattia. Si parla di dolore cronico quando diventa persistente, per più di 3 mesi, spesso accompagnato dall’insorgenza di altri sintomi quali fatica, sonno disturbato, alterazioni cognitive, con un forte impatto sull’attività lavorativa e sulla qualità di vita. Ad oggi il trattamento del dolore è soprattutto incentrato sulla somministrazione di FANS ed oppioidi, con un’elevata variabilità inter-individuale in termini di efficacia, spesso con scarsi benefici sul dolore e insorgenza di effetti collaterali importanti. In questi casi risulta necessario ricorrere a strategie invasive come ad esempio l’impianto di un neuro-stimolatore midollare. Recentemente diversi studi hanno suggerito l’esistenza di una possibile correlazione tra dolore e fragilità, una condizione multifattoriale tipica dell’anziano, definita come uno stato clinico di aumentata vulnerabilità associato a declino delle riserve funzionali e all’incapacità di ripristino dell’omeostasi a seguito di eventi stressanti. Dolore cronico e fragilità sembrano condividere diversi meccanismi, quali infiammazione e neuroinfiammazione, attivazione del sistema immunitario, età dei soggetti coinvolti; questi fattori potrebbero suggerire un’influenza reciproca. Ad oggi restano molti interrogativi da risolvere circa i meccanismi alla base della fragilità e, data la sua multifattorialità, risulta anche di difficile diagnosi. Alla luce di ciò, lo scopo di questo progetto è valutare l’esistenza di una correlazione tra dolore e fragilità e, in tal caso, valutare se un trattamento di successo del dolore possa effettivamente prevenire o invertire una condizione di fragilità, agendo sul miglioramento dello stato psicologico del paziente e della qualità della vita nel suo complesso. Per far ciò sono stati elaborati due modelli in parallelo: animale che prevede l’uso di topi giovani (11 settimane d’età) e anziani (20 mesi d’età), in cui è stata indotta una condizione di Osteoartrite (OA) successivamente trattata cronicamente con 2,5 mg/kg di morfina. Dopo 14 giorni dall’induzione di OA e 7 giorni di trattamento, i topi sono stati sacrificati per poter effettuale le analisi biochimiche sul midollo spinale (L3-L5) e su quattro aree cerebrali (ipotalamo, ippocampo, corteccia frontale e prefrontale). Umano costituito da pazienti afferenti all’Unità di Terapia del Dolore dell’Ospedale di Parma che presentano dolore cronico e idoneità ad impiantare uno stimolatore neuromidollare, come ultima strategia terapeutica. I pazienti vengono seguiti fino ai 6 mesi successivi all’impianto. Sono state valutate le soglie basali nocicettive nei topi sia adulti che anziani, oltre alla valutazione dell’impatto del dolore cronico sullo stato di fragilità. Non sono state evidenziate differenze basali tra adulti e anziani ma, a seguito dell’induzione di OA, sia adulti che anziani mostrano alterate soglie nocicettive a stimoli meccanici e dolore spontaneo, che ritornano ai livelli basali a seguito del trattamento cronico con 2,5 mg/kg di morfina. Parallelamente, lo stato di fragilità peggiora in presenza di dolore sia nei topi giovani che anziani, ritornando a valori simili a quelli basali a seguito del trattamento con morfina. Le analisi di espressione genica correlano con i risultati comportamentali e mostrano che la presenza di dolore indotto da OA induce una forte neuroinfiammazione, sia in adulti che anziani, con maggiore rilevanza negli anziani. Infatti, è stato riscontrato un aumento dell’espressione genica di TNF-α, TLR4, CD11, Iba-1 e ATF3 nel midollo spinale di topi anziani con dolore rispetto ai topi adulti con dolore. Il trattamento con morfina sembra contrastare la neuroinfiammazione così come mostrato dalla riduzione dell’espressione di IL-1β, CD11 e ATF3, GFAP, Iba-1 nel midollo dei topi trattati, sia adulti che anziani, parallelamente al ripristino delle funzionalità motorie, delle soglie nocicettive osservate dai test comportamentali, e dell’indice di fragilità. A livello sovra-spinale, invece, è stato evidenziato un aumento di espressione di alcuni marcatori nei topi anziani rispetto agli adulti ma sembra che né il dolore né il trattamento abbiano effetto a questo livello. Nell’uomo, nonostante l’esiguità campionaria, è stato possibile valutare lo stato psicologico di partenza del paziente, l’intensità del dolore e la sua interferenza con la vita quotidiana, tramite la compilazione autonoma di specifici test. Lo stato di fragilità del paziente è stato valutato sulla base dell’interpretazione di alcuni sintomi tipici di questa condizione, quali l’ansia e la depressione, la tendenza a catastrofizzare il dolore, la disabilità fisica che interferisce con le attività quotidiane quali dormire, camminare, piegarsi e lavorare. Infine è stato valutato l’impatto che questi fattori hanno sulla qualità della vita. Tali valutazioni sono state monitorate prima e dopo l’impianto di neurostimolazione al fine di valutare una possibile correlazione tra l’esito della trattamento e i sintomi di fragilità. In generale, è emerso un miglioramento della sintomatologia dolorosa dopo l’impianto la quale sembra correlare con il miglioramento delle disabilità fisiche, dei sintomi psicologici e della qualità di vita. Contestualmente alla valutazione clinica sono state eseguite analisi biochimiche su campioni di sangue periferico, da cui sono state allestite colture di PBMC. I risultati non sono significativi e necessitano di un ampliamento del numero campionario. Una visione globale dei risultati sino ad ora ottenuti, sebbene molto preliminari, confermano il dolore cronico come fattore di rischio per l’insorgenza o peggioramento di uno stato di fragilità e l’efficacia di un trattamento del dolore come soluzione per prevenire e/o migliorare alcuni dei fattori tipici della fragilità, quali il ripristino delle funzionalità motorie, miglioramento dello stato psicologico e di qualità di vita.
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