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dc.contributor.advisorParisella, Antonio-
dc.contributor.authorLa Fata, Ilaria-
dc.date.accessioned2012-06-25T11:15:01Z-
dc.date.available2012-06-25T11:15:01Z-
dc.date.issued2012-
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/1889/1846-
dc.description.abstract“Scemi di guerra” – nel linguaggio popolare – furono definiti non solo i soldati ricoverati negli ospedali psichiatrici per i traumi, come lo shock da combattimento, riportati al fronte, ma anche chi invece simulava simili disagi per evitare di essere mandato in trincea. La ricerca ha preso le mosse dalla ricostruzione dello scenario materiale, cioè l’Ospedale psichiatrico di Colorno, nella sua realtà storica, edilizia, organizzativa, amministrativa, e delle relazioni con le autorità militari, per continuare con l’analisi di problemi e aspetti della realtà scientifico-clinica e con l’indagine sulla tensione che nella cultura psichiatrica si era aperta fra la tradizione positivista-lombrosiana e l’emergere di approcci che, mettendo al centro dell’attenzione il soggetto e la malattia, si ponevano interrogativi sulla curabilità o, almeno, sulla sensibile riduzione del danno. Entrando nel cuore del lavoro, la ricostruzione statistico-quantitativa dei ricoverati nel manicomio di Colorno durante i quattro anni di guerra ha evidenziato che il numero sempre crescente di nuovi ingressi era legato all’entrata dei soldati, sia da tenere semplicemente sotto osservazione per alcuni giorni che da ricoverare permanentemente. Scomponendo tali ricoveri per ogni anno di guerra, inoltre non stupisce osservare come il loro numero sia, sostanzialmente, condizionato dall’andamento del conflitto. Tra essi erano sostanzialmente assenti gli ufficiali nel manicomio, elemento da porre in relazione al fatto che Colorno era un ospedale di retrovia. L’analisi delle motivazioni dei ricoveri è stata compiuta leggendo fra le righe delle tabelle nosografiche – nelle quali i medici segnalavano periodicamente disturbi e comportamenti in modo frammentario e spesso poco chiaro – o dei certificati che venivano richiesti ai medici del paese di provenienza per comprendere le ragioni dei loro disturbi. Il motivo principale che condusse gran parte dei ricoverati in manicomio furono le conseguenze di traumi riportati in battaglia, o, per usare la terminologia del periodo, lo shell shock, pur nella consapevolezza della sua ambiguità, come segnalavano anche le fonti coeve. Tuttavia, le diagnosi di “stato depressivo stuporoso”, o di “stato d’arresto psicomotorio”, apparentemente non legate a simulazione e non poste in relazione diretta con la vita al fronte, segnalano la difficoltà anche da parte dei medici psichiatri di Colorno a identificare lo shell shock, trauma che aveva iniziato a diffondersi tra i soldati proprio durante quel conflitto. Rarissime sono le eccezioni, e sempre tese a sminuire la portata del trauma. Anche a Colorno sembra dunque prevalere l’adesione al paradigma psichiatrico del tempo, vale a dire la predisposizione biologica alla malattia mentale che non teneva conto della possibilità da parte degli eventi bellici di produrre effetti patologici autonomi. Tuttavia, il personale sanitario non poté restare indifferente talora a palesi manifestazioni di sintomi patologici. Alto e decisamente significativo (pari a circa un terzo) appare dalla ricerca il numero dei soldati ricoverati considerati privi di qualsiasi forma di alienazione mentale: in ciò ha certamente giocato un ruolo un vero e proprio assillo da parte del corpo medico – soprattutto militare – di individuare i simulatori che cercavano di sfuggire ai loro doveri, che avrebbero così dimostrato una totale mancanza di amor di patria, anche se le diagnosi sono solo apparentemente semplici, perché talora richiedevano complesse operazioni che portavano inizialmente a chiudere gli occhi anche su precedenti «disordini nel contegno» di persone che già erano state sotto osservazione o erano state ricoverate in manicomio nelle loro province d’origine. Lo studio ha preso in considerazione anche i rapporti tra i soldati e il mondo esterno, per verificare come si poteva uscire da un’istituzione totale dopo un’esperienza assoluta come quella bellica, e la possibilità o meno da parte dei soldati di reintegrarsi con la società e con la quotidianità del presente. Nell’intento di allargare lo sguardo alle relazioni sociali e ai legami tra soldati e civili del “fronte interno”, inoltre, si è indagata anche la presenza di vincoli comunitari che legavano i ricoverati al loro mondo quotidiano e che in molti casi si mantennero e presero la forma di sostegni – economici e morali – per farli tornare a casa. Ragionare sul grande cambiamento innescato dalla guerra ha condotto, infine, anche ad analizzare i mutamenti dei rapporti tra gli uomini ricoverati e il mondo femminile, quali emergono dalle lettere contenute nelle cartelle cliniche.it
dc.language.isoItalianoit
dc.publisherUniversità degli Studi di Parma. Dipartimento di Storiait
dc.relation.ispartofseriesDottorato di ricerca in Storiait
dc.rights© Ilaria La Fata, 2012it
dc.subjectshell shockit
dc.subjectcombat stress reactionit
dc.subjecttraumatic war neurosisit
dc.subjectwar stressit
dc.subjectasylumit
dc.subjectfirst world warit
dc.subjectsoldiersit
dc.title"Scemi di guerra". Comportamenti sociali e nevrosi psichiche tra i soldati della Grande guerra. Il caso di Parma.it
dc.title.alternative"Scemi di guerra". Social behaviours and psychic neurosis in the soldiers of World War 1. The case of Parma.it
dc.typeDoctoral thesisit
dc.subject.soggettarioGuerra mondiale 1914-1918 - Aspetti psicologiciit
dc.subject.soggettarioPsicopatie - Soldatiit
dc.subject.soggettarioColorno - Ospedali psichiatrici - Manicomio provinciale - 1914-1918it
dc.subject.miurM-STO/04it
dc.description.fulltextopenen
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