DSpace Collection:https://hdl.handle.net/1889/27082024-03-28T17:25:43Z2024-03-28T17:25:43ZInfluenze del rischio poligenico per i disturbi neuropsichiatrici e per la malattia di Alzheimer nel declino cognitivoMarinari, Giacomohttps://hdl.handle.net/1889/55292023-12-12T10:29:26Z2023-07-13T00:00:00ZTitle: Influenze del rischio poligenico per i disturbi neuropsichiatrici e per la malattia di Alzheimer nel declino cognitivo
Authors: Marinari, Giacomo
Abstract: La malattia di Alzheimer (AD) è una condizione neurodegenerativa complessa caratterizzata dalla presenza di beta-amiloide (Aβ) e aggregati proteici tau, reazione infiammatoria e alterazioni dei livelli di metalli in soggetti geneticamente predisposti. La variazione genetica può influenzare la predisposizione, le manifestazioni cliniche e fenotipiche della malattia. Nello specifico, tali alterazioni sembrano essere guidate dal principale fattore di rischio genetico dell’Alipoproteina E (APOE) e da altri fattori di rischio poligenico, dipesi dalla variabilità dei polimorfismi a singolo nucleotide (SNP). Tali fattori di rischio poligenico vengono calcolati sul genoma degli individui determinando uno specifico punteggio (PRS), che determina il rischio o meno di sviluppare l’AD. Lo scopo di questa review sistematica è stato di valutare, tramite uno scrupoloso filtraggio degli studi presenti in letteratura, se i punteggi di rischio poligenici associati ai sintomi neuropsichiatrici (NPS) potessero significativamente predire l’esordio e/o il peggioramento dell’AD in soggetti anziani con o senza demenza. Inoltre, si è anche studiato se i PRS associati all’AD potessero peggiorare il decorso di tale malattia e facilitare l’emergenza di disturbi neuropsichiatrici. Alcuni di questi studi hanno indagato le associazioni tra PRS e diverse patologie psichiatriche, come depressione, schizofrenia e ADHD, in soggetti con o senza demenza. I risultati degli studi post -filtraggio relativi alle due associazioni (PRS-NPS, PRS-AD) indagate hanno riportato prevalentemente risultati significativi nella predizione e peggioramento della malattia di Alzheimer. Questa review sistematica ha esaminato studi recenti sui fattori di rischio poligenico per i sintomi neuropsichiatrici nell'AD e per l'AD stessa in soggetti con demenza. La ricerca su associazioni tra sintomi, correlati neurobiologici e decorso fornisce informazioni cruciali sull'analisi della dimensione evolutiva e temporale della malattia. Gli studi trasversali, che sono i più comuni in letteratura, presentano limitazioni nel cogliere il continuum dell'AD. Tuttavia, gli studi selezionati hanno fornito risultati interessanti, grazie ai progressi nella ricerca biologica di base, genetica e neuroimaging. I risultati più significativi riguardano l'associazione tra il rischio genetico di sviluppare AD e la depressione, suggerendo una correlazione genetica tra le due condizioni. Grazie a ricerche interdisciplinari e studi longitudinali, si sta orientando l'approccio verso la diagnosi precoce e l'identificazione dei fattori di rischio in una fase preclinica della malattia. In futuro, gli studi longitudinali consentiranno un'individuazione più specifica dei fattori di rischio e una presa in carico anticipata dei pazienti. Ciò offre nuove speranze ed opportunità per affrontare l'AD, una malattia con un impatto epidemiologico significativo e che influisce sulla qualità della vita delle persone.; Alzheimer's disease (AD) is a complex neurodegenerative condition characterized by the presence of beta-amyloid (Aβ) and tau protein aggregates, inflammatory response, and alterations in metal levels in genetically predisposed individuals. Genetic variation can influence the predisposition, clinical manifestations, and phenotypes of the disease. Specifically, these alterations appear to be driven by the major genetic risk factor apolipoprotein E (APOE) and other polygenic risk factors, determined by single nucleotide polymorphism (SNP) variability. These polygenic risk factors are calculated based on an individual's genome, resulting in a specific score (polygenic risk score or PRS) that determines the risk of developing AD. The aim of this systematic review was to evaluate, through meticulous filtering of the literature, whether polygenic risk scores associated with neuropsychiatric symptoms (NPS) could significantly predict the onset and/or progression of AD in elderly individuals with or without dementia. Additionally, the review assessed whether AD-associated PRS could worsen the course of the disease and forster the appearance of neuropsychiatric symptoms. Some of these studies investigated associations between PRS and various psychiatric conditions, such as depression, schizophrenia, and ADHD, in individuals with or without dementia. The post-filtering study results for the two investigated associations (PRS-NPS, PRS-AD) predominantly reported significant findings in predicting and worsening of Alzheimer's disease. This systematic review examined recent studies on polygenic risk factors for neuropsychiatric symptoms in AD and for AD itself in individuals with dementia. Research on associations between symptoms, neurobiological correlates, and disease progression provides crucial insights into the temporal and evolutionary dimensions of the disease. While cross-sectional studies, which are the most common in the literature, have limitations in capturing the continuum of AD, the selected studies yielded interesting results due to advancements in basic biological research, genetics, and neuroimaging. The most significant findings relate to the association between genetic risk for developing AD and depression, suggesting a shared genetic variance between the two conditions. Interdisciplinary and longitudinal studies are steering the approach towards early diagnosis and identification of risk factors in the preclinical phase of the disease. In the future, longitudinal studies will enable more specific identification of risk factors and early management of patients, offering new hopes and opportunities in addressing AD, a disease with significant epidemiological impact and a major impact on people's quality of life.2023-07-13T00:00:00ZProfilo neuropsicologico della malattia di Alzheimer e delle sue varianti : frontale, logopenica e atrofia corticale posterioreCareddu, Alessiahttps://hdl.handle.net/1889/55282023-12-06T15:16:31Z2023-10-11T00:00:00ZTitle: Profilo neuropsicologico della malattia di Alzheimer e delle sue varianti : frontale, logopenica e atrofia corticale posteriore
Authors: Careddu, Alessia
Abstract: Questo elaborato ha lo scopo di descrivere il profilo neuropsicologico della malattia di
Alzheimer e delle sue tre varianti frontale, logopenica e visiva (anche nota come atrofia
corticale posteriore, PCA), attraverso una revisione esaustiva della letteratura, articoli
scientifici e libri di testo, esaminando gli aspetti salienti delle manifestazioni cognitive legate
a ciascun fenotipo clonico e mettendo in luce le differenze e le peculiarità che li distinguono.
Complessivamente, questa ricerca contribuisce alla comprensione approfondita dei profili
neuropsicologici della malattia di Alzheimer e delle sue varianti e offre una prospettiva
completa e informata basata su questa complessa patologia fornendo una base per ulteriori
sviluppi nella ricerca in campo neuropsicologico e delle neuroscienze.; This study aims to review the neuropsicological profile of Alzheimer's disease and its three
variants: frontal, logopenic, and visual (also known as posterior cortical atrophy, PCA),
through a comprehensive review of the literature, scientific articles, and textbooks, examining
the key aspects of cognitive manifestations associated with each clinical phenotype and
highlighting the differences and peculiarities that set them apart.
Overall, this review contributes to an in-depth understanding of the neuropsychological
profiles of Alzheimer's disease and its variants, offering a comprehensive and informed
perspective based on this complex pathology, providing a foundation for further developments
in research in the field of neuropsychology and neuroscience2023-10-11T00:00:00ZL’impatto delle lesioni iperintense della sostanza bianca sulla severità dei sintomi cognitivi e comportamentali nella fase prodromica della malattia di AlzheimerRubiu, Silviahttps://hdl.handle.net/1889/55272023-12-06T15:15:48Z2023-10-19T00:00:00ZTitle: L’impatto delle lesioni iperintense della sostanza bianca sulla severità dei sintomi cognitivi e comportamentali nella fase prodromica della malattia di Alzheimer
Authors: Rubiu, Silvia
Abstract: Introduzione: circa il 60% delle demenze è rappresentato dalla malattia di Alzheimer. È importante diagnosticare la malattia nella fase di Mild Cognitive Impairment (MCI) in cui si evidenzia un lieve deterioramento cognitivo su più domini.
Per questo si studia la neurodegenerazione alla base della sintomatologia, che sembra dovuta ai depositi di beta amiloide e tau; molti studi indagano la presenza di altri fattori, tra cui le White Matter Hyperintensities (WMH).
Obiettivo: comprendere l’impatto delle WMH sulle funzioni cognitive e sui sintomi comportamentali nella fase prodromica della malattia di Alzheimer.
Metodi: è stata svolta un'analisi statistica sul database dell’Alzheimer Disease Neuroimaging Initiative (ADNI) prendendo in esame i soggetti con MCI e suddividendo il campione in base ai volumi di WMH.
Risultati: i dati raccolti sono concordi con le evidenze in letteratura. È emerso che la presenza di volumi maggiori di WMH aumenta la probabilità di avere una diagnosi di MCI. La compromissione dovuta alle WMH è stata evidenziata nei domini della memoria, delle funzioni esecutive e del linguaggio, ma è di pari entità sia nei controlli sia nei soggetti con MCI. Mentre non sembra esserci relazione con i sintomi comportamentali e con le funzioni visuospaziali.
Conclusioni: questi risultati consolidano l'importanza delle WMH come indicatori della compromissione delle condizioni cognitive e della relazione che le iperintensità hanno con la malattia di Alzheimer.; Introduction: Approximately 60% of dementia cases are represented by Alzheimer's disease. It is important to diagnose the disease in the Mild Cognitive Impairment (MCI) phase, characterized by mild cognitive decline across multiple domains. Therefore, research focuses on the neurodegeneration underlying the symptoms, which appear to be due to deposits of beta-amyloid and tau; many studies investigate the presence of other factors, including White Matter Hyperintensities (WMH).
Objective: To understand the impact of WMH on cognitive functions and behavioral symptoms in the prodromal phase of Alzheimer's disease.
Methods: A statistical analysis was conducted on the Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative (ADNI) database, examining subjects with MCI and dividing the sample based on WMH volumes.
Results: The collected data are consistent with existing literature evidence. It has been revealed that the presence of larger volumes of WMH increases the likelihood of receiving a diagnosis of MCI. Impairment due to WMH has been highlighted in the domains of memory, executive functions, and language, but it is of equal magnitude in both controls and subjects with MCI. There doesn't appear to be a relationship with behavioral symptoms and visuospatial functions.
Conclusions: These results consolidate the importance of WMH as indicators of compromised cognitive conditions and the relationship that hyperintensities have with Alzheimer's disease.2023-10-19T00:00:00ZThe intersecting worlds of Alzheimer's disease and Gut Microbiota : a narrative reviewBolengo, Francescahttps://hdl.handle.net/1889/55262023-12-06T14:53:31Z2023-10-19T00:00:00ZTitle: The intersecting worlds of Alzheimer's disease and Gut Microbiota : a narrative review
Authors: Bolengo, Francesca
Abstract: Alzheimer’s disease (AD), the most common cause of dementia, represents a global economic and social burden. It is characterized by a progressive cognitive decline and a complex neuropathology, featuring amyloid beta plaques, tau protein aggregates, and neuroinflammation. Despite extensive research, the underlying causes of AD remain elusive and there are limited disease-modifying treatments available. Insights into the multi-factorial mechanisms that mediate the onset and progression of AD may lead to new effective therapeutic strategies. New evidence suggests the involvement of gut microbiota in AD pathology. The human gut hosts symbiotic microorganisms crucial for digestion, vitamin biosynthesis, immune system regulation, and defense against pathogens. Alterations in the gut microbiota composition, termed gut dysbiosis, have been linked to various diseases, including AD. This review provides an overview of AD and explores the gut microbiota-brain bidirectional communication. Furthermore, it assesses the connection between gut dysbiosis and AD, with studies indicating its involvement in AD pathophysiology and cognitive decline, offering a potential avenue for intervention. Additionally, this review analyzes therapeutic approaches targeting the gut microbiota. Probiotics, prebiotics, and fecal microbiota transplantation have demonstrated promise in animal models, although challenges persist in translating these findings to clinical practice. In general, this review highlights the intriguing connection between the gut microbiota and AD, shedding light on an experimental way for understanding and potentially treating this neurodegenerative disease. As the aging population grows, the need to explore preventive and therapeutic approaches becomes increasingly critical, and the gut microbiota may hold a key to unlocking new therapeutic strategies for addressing AD.; La malattia di Alzheimer, la causa più comune di demenza, ha un importante impatto sull’aspetto economico e sociale a livello mondiale. È caratterizzata da un declino cognitivo progressivo e da una complessa neuropatologia, che comprende placche di beta amiloide, aggregati di proteina tau e neuroinfiammazione. Nonostante siano state svolte ricerche approfondite su questa malattia, le cause sottostanti rimangono elusive e i trattamenti disponibili sono limitati. Inoltre, l’AD è multifattoriale, dunque, sono diversi i meccanismi che
mediano l'insorgenza e la progressione dell'AD; l’approfondimento di questi potrebbe permettere di trovare nuove strategie terapeutiche efficaci. Infatti, nuove scoperte suggeriscono il coinvolgimento del microbiota intestinale nella patologia dell'AD. Il microbiota intestinale umano ospita microorganismi che vivono in modo simbiotico con esso e che sono cruciali per la digestione, la biosintesi delle vitamine, la regolazione del sistema immunitario e la difesa contro patogeni. In particolare, alterazioni nella composizione del microbiota intestinale,
denominate disbiosi intestinale, sono state associate a diverse malattie, compreso l'AD. Questa revisione fornisce una panoramica sulla malattia di Alzheimer ed esplora la comunicazione bidirezionale tra il microbiota intestinale e il cervello. Inoltre, valuta la connessione tra l’AD e la disbiosi intestinale, evidenziando il coinvolgimento di quest’ultima nella fisiopatologia e nel declino cognitivo tipici dell’AD, e offrendo, infine, una possibile via di intervento. Infatti, questa tesi analizza alcuni approcci terapeutici mirati a modulare il microbiota intestinale. In particolare, probiotici, prebiotici e trapianto di microbiota fecale hanno dimostrato benefici nei
modelli animali, anche se persistono delle sfide nel tradurre tali scoperte nella pratica clinica. In generale, questa revisione evidenzia l'affascinante connessione tra il microbiota intestinale e l’AD, gettando luce su un nuovo approccio per comprendere e potenzialmente trattare questa malattia neurodegenerativa. Con l'invecchiamento della popolazione, la necessità di esplorare approcci preventivi e terapeutici diventa sempre più critica, e il microbiota intestinale potrebbe rappresentare una chiave per scoprire nuove strategie terapeutiche per affrontare la malattia di Alzheimer.2023-10-19T00:00:00Z